Archive for febbraio 2011

O SARA’ SOLO MERITO DELLA CURA ORMONALE?!
8 febbraio 2011

Cosa sono tutte queste belle giornate in sequenza, una dietro l’altra, sole e niente più? Cos’è questa luce dappertutto, quando apri le finestre al mattino e sei inondata e stringi gli occhi perchè, dopo il buio buio, un pò fa pure male, diciamocelo? Cos’è che mi lavo la faccia e lo specchio lì di fronte sembra quasi avere un bel sorriso? Cosa sono queste idee, questo fermento, questo riuscire quasi a pensare a domani, a programmare, a -timidamente- sognare? Cos’è che riesco pure a parlare, costruire frasi, fare persino discorsi lunghi più di un minuto senza sentirmi sempre, indistintamente, incapace di mantenere la maschera e sull’orlo di una crisi di pianto? Cos’è che ho quasi davvero voglia di viverla questa vita, di lasciarmi viverla e scoprire cosa ne sarà? Cos’è che sono addirittura curiosa di scoprire come andrà a finire?

Sarà che ho definitivamente perso me stessa, o che sono definitivamente tornata in me? Ecco, la cosa bella, è che qualsiasi cosa sia, è definitivamente.

COSA STAI PENSANDO?
7 febbraio 2011

Mi sono cancellata da facebook.
Ero stufa.

E non c’entra niente dire che sono incostante. Che le cose mi stancano, mi nauseano, mi vengono a noia.
Perchè è vero, è stato sempre così, con le diecimila passioni che mi hanno entusiasmata nella vita. Sono sempre arrivata al punto di saperle fare così così, l’idea di poterci riuscire, volendo, mi ha sempre convinta che non servisse proseguire. E non ho mai avuto voglia di fare lo sforzo ulteriore, di riuscirci per davvero. Perchè non è mai stato quello il punto. Sarà che non ho lo spirito competitivo, oppure sarà solo che gli “esperti”, di qualsiasi cosa, mi stanno antipatici, con la loro arietta da primi della classe, le manie di insegnare e la perdita del senso del resto della realtà. E’ come se il loro mondo si rimpiccolisse, ed io invece volessi continuare a vedere le infinite possibilità. Ed allora ho sempre smesso prima di rischiare di diventare come loro. E poi sono curiosa, mentre faccio una cosa so che ne sto perdendo minimo altre diecimila, e così perdo in concentrazione. Non lo nego, no, che vorrei essere diversa. Compiuta, stabile, determinata. Dettagliata. Attenta ai particolari. Ma poi mi stufo, e torno punto e a capo.

Questa è una cosa diversa, non c’entra l’incostanza. Diciamo che una mattina mi sono svegliata ed ho pensato che l’esistenza di facebook incide violentemente nella vita concreta delle persone. E nella specie, nella mia vita. L’esigenza di comunicare è appagata, ma diventa piccola, minimizzata, riassunta, economizzata. E quindi anche la realtà ne esce distorta. Si iniziano a ridurre i pensieri, i ragionamenti, i sillogismi. Le capacità di discernimento si adattano a percorsi nuovi, che però non allargano gli orizzonti ma restringono la visuale.
Allarga le nozioni, le notizie, i contatti, gli scambi, la velocità, le possibilità, ma nell’allargare manipola la forma del pensiero. La standardizza, la appiattisce. Il cervello va avanti a categorie: mi piace, condividi, commenta. Accetta, ignora. Puntini di sospensione compiuti, un fiume di punti esclamativi e parentesi a go go, in su in giù di quà e di là. Nel dare sfogo agli scambi di idee, alle discussioni, alle contrapposizioni, le smorza, le cristallizza, le impigrisce, toglie la forza, il vigore. Elimina le differenze nel modus operandi. E’ come un sistema che ha già previsto in sè le sue obiezioni, le sue contrapposizioni, e le contiene, le controlla.
Si, ci hanno organizzato manifestazioni, rivolte, rivoluzioni. La Turchia, l’Egitto (anche il vicino Belgio) ora non sarebbero gli stessi, senza facebook. E’ entrato nella storia, ma questa è solo la prova che lo strumento è potente (ed ha i suoi risvolti positivi): il prezzo è l’assuefazione ad una droga subdola e mascherata da libertà. Fa male al cervello, al mio per meno.

Io la stessa la cosa l’ho notata anni fa con questo blog. E adesso riesco a precisarla bene, vederla amplificata all’ennesima potenza.
Quando avevo un appuntamento fisso quì, tutti i giorni, un pò di tempo per me a scrivere, quello che accadeva durante il giorno aveva un filo conduttore, o meglio una “sublimazione”. Ciascun avvenimento, seppur piccolo, era preso in considerazione ed elaborato perchè assumesse una forma, un significato da raccontare, da descrivere. Tutto era uno spunto, una possibile riflessione. Ed avevo già notato che percepivo la realtà in maniera diversa, era finalizzata, acquisiva un senso che poi quì si concretizzava. Ma era per me o per il bisogno di esserci, di mostrare, per leggere i commenti, per sentirmi parte di qualcosa? Era esclusivamente per me, era autoreferenziale, e per questo, terapeutico. Scrivere quì è cercare la pace con me stessa in me stessa, mi rilassa, mi fa arrivare al punto. Ed ha un valore in sè, che non è influenzato dalla vetrina, che prescinde totalmente dai lettori che chi lo sa se ci sono, chi sono, che storie hanno, che cercano, che percepiscono di queste mie parole. Di certo questa possibilità eventuale di condividere è un valore aggiunto, rispetto allo scrivere sul primo foglio di carta, sul fondo dei libri, sulla moleskine. Ma lo è in quanto i destinatari non sono certi, e soprattutto non sono un gruppo di più o meno amici, più o meno conoscenti, tutti chiusi nella propria bolla, assuefatti dalle regole del gioco.

Insomma torno quì. Ed è un pò come tornare a casetta.

Nel frattempo, ad un tempo breve dalla cancellazione, la pigrizia ha subito un duro colpo ed i rapporti umani una bella boccata di ossigeno. Puro.

LAAAAA-LaLaLaLaLaLaLaLaaaaaaa!
6 febbraio 2011

Shhhhhhh….lo so lo so che dovrei essere grata per la cultura musicale che invano e pazientemente qualcuno tenta di infondermi, ma questo spazio è mio e comando io, e Vasco è Vasco e A ME ME PIACE!

Ahhhh…che bella!

“Perchè la poesia non è di chi la scrive, la poesia è di chi gli serve”
6 febbraio 2011

Come accostare Troisi a Baricco:

-svegliarsi di notte e non riuscire a muoversi, pensare com’è che non riesco a muovermi, riaddormentarsi immediatamente rimandando le risposte a domani mattina.

– svegliarsi domani mattina e capire che ho dormito con la porta aperta, e che a giudicare da certe orme sul letto, deve esserci passato uno di quei cani che bazzicano casa mia, che forse per quello non riuscivo a muovermi.

– aprire le finestre e scoprire che c’è il sole, tanto tanto sole.

– guardare per terra e scoprire alla luce inequivocabile dei raggi del sole di cui sopra, che un qualche libro dei miei era senz’altro andato in frantumi.

– scoprire, da alcuni brandelli ricomponibili della copertina, che trattasi di Novecento.

– buttare leggermente il pensiero a Novecento, decidere che Castelli di rabbia è superiore, ma certi passaggi, sì, erano poesia.

– dispiacersi un pò per la perdita.

– cercare un modo di perdonare il cane, per non doverlo punire che con un sole così, non ci si può arrabbiare.

– non trovare giustificazioni plausibili e poi scorgere come in un’illuminazione Troisi in soccorso: la poesia non è di chi la scrive, ma di chi gli serve.

– rimanere con il dubbio amletico: quale dei due cani avrà avuto tanto bisogno di poesia in una notte come questa. Io un sospetto ce l’ho, ma tutti sono innocenti fino a prova contraria!
(poi uscire con i cani, e trovare distrattamente le prove usando la paletta ecologica. fa un pò schifo, ma avevo ragione io!!!!!!)

…però stai bene dove stai!
2 febbraio 2011

Certe volte proprio per farsi capire bisogna farsi piccoli piccoli e scendere al livello dei destinatari…lo sa persino Platone, se incontra un cane piccolo si accascia a terra, lo sa che è l’unico modo per incontrarsi sullo stesso piano, daltronde non ci vuole l’intelligenza di un cane per capire che quello piccolo grande non ci può diventare!

Ad ogni modo, ad averlo capito prima, ancora potevo prendere la comunione adesso!

L’indifferenza è il peggior disprezzo, lo so, ma è per persone mediamente oneste. Con i dementi, con l’arroganza dei disonesti, con la presunzione della stupidità, purtroppo bisogna usare le maniere forti. Altrimenti pensano pure di aver vinto, di essere stati bravi. Ed io che pensavo che la loro vita valesse di più di una stupida guerra contro di me. Ah, beati voi, beati per davvero però! E poveretta me, non erano mulini a vento, ma semplici muli!!!!!

Dicevi che ti elevavo, e mi sa di sì, ma non avevo mai capito quanto!

Allora, io non lo so fare, sono troppo convinta che finchè pensi che ne valga la pena, vale la pena spendere le parole, spiegarsi spiegarsi spiegarsi e non smettere mai. E quando poi pensi che non serva più a niente, che è inutile, che non ti capiranno mai, allora anche le parole non servono. Tanto vale lasciar correre, farli pensare tutto quello che vogliono, lasciargli la loro versione e amen. Ne sono così convinta, che lo uso pure a sproposito questo metodo. Lo uso pure quando fa male agli altri e anche quando mi fa male, ma tanto tanto male. E’ premere pause, e il tempo dirà la sua. E’ una reazione sbagliata, lo so. Purtroppo mi è stato insegnato: il tempo dice la sua, ma non sempre poi la sua ti piace. Ed allora sono cazzi. Non devi mai lasciarglielo, al tempo, il tempo di dire la sua. Le devi volere con la forza, le cose. Non devi mai lasciare assolutamente libero nessuno di scegliere, altrimenti scoprirai cosa sceglierà quando è assolutamente libero di scegliere!

Allora stavo per sbagliare di nuovo. Mi correggo, ma dato il cattivo allenamento, non la so usare l’ignoranza. So usare un sacco di brutte cose, ma non l’ignoranza.

Però non deve essere difficile, il concetto è ANDATEVENEAFFANCULO….e poi riandateci…riandateci…riandateci…e tutte le volte che mettete il vostro sporco naso (si fa per dire!) fuori di casa, andate affanculo a ripetizione.

Altre parole non ne spreco, mi basta aver reso l’idea.

(stavolta, se leggi, hai pure il permesso di incazzarti, stupido idiota vigliacco che sei! E pure tu, mediocre!)