Mi sono cancellata da facebook.
Ero stufa.
E non c’entra niente dire che sono incostante. Che le cose mi stancano, mi nauseano, mi vengono a noia.
Perchè è vero, è stato sempre così, con le diecimila passioni che mi hanno entusiasmata nella vita. Sono sempre arrivata al punto di saperle fare così così, l’idea di poterci riuscire, volendo, mi ha sempre convinta che non servisse proseguire. E non ho mai avuto voglia di fare lo sforzo ulteriore, di riuscirci per davvero. Perchè non è mai stato quello il punto. Sarà che non ho lo spirito competitivo, oppure sarà solo che gli “esperti”, di qualsiasi cosa, mi stanno antipatici, con la loro arietta da primi della classe, le manie di insegnare e la perdita del senso del resto della realtà. E’ come se il loro mondo si rimpiccolisse, ed io invece volessi continuare a vedere le infinite possibilità. Ed allora ho sempre smesso prima di rischiare di diventare come loro. E poi sono curiosa, mentre faccio una cosa so che ne sto perdendo minimo altre diecimila, e così perdo in concentrazione. Non lo nego, no, che vorrei essere diversa. Compiuta, stabile, determinata. Dettagliata. Attenta ai particolari. Ma poi mi stufo, e torno punto e a capo.
Questa è una cosa diversa, non c’entra l’incostanza. Diciamo che una mattina mi sono svegliata ed ho pensato che l’esistenza di facebook incide violentemente nella vita concreta delle persone. E nella specie, nella mia vita. L’esigenza di comunicare è appagata, ma diventa piccola, minimizzata, riassunta, economizzata. E quindi anche la realtà ne esce distorta. Si iniziano a ridurre i pensieri, i ragionamenti, i sillogismi. Le capacità di discernimento si adattano a percorsi nuovi, che però non allargano gli orizzonti ma restringono la visuale.
Allarga le nozioni, le notizie, i contatti, gli scambi, la velocità, le possibilità, ma nell’allargare manipola la forma del pensiero. La standardizza, la appiattisce. Il cervello va avanti a categorie: mi piace, condividi, commenta. Accetta, ignora. Puntini di sospensione compiuti, un fiume di punti esclamativi e parentesi a go go, in su in giù di quà e di là. Nel dare sfogo agli scambi di idee, alle discussioni, alle contrapposizioni, le smorza, le cristallizza, le impigrisce, toglie la forza, il vigore. Elimina le differenze nel modus operandi. E’ come un sistema che ha già previsto in sè le sue obiezioni, le sue contrapposizioni, e le contiene, le controlla.
Si, ci hanno organizzato manifestazioni, rivolte, rivoluzioni. La Turchia, l’Egitto (anche il vicino Belgio) ora non sarebbero gli stessi, senza facebook. E’ entrato nella storia, ma questa è solo la prova che lo strumento è potente (ed ha i suoi risvolti positivi): il prezzo è l’assuefazione ad una droga subdola e mascherata da libertà. Fa male al cervello, al mio per meno.
Io la stessa la cosa l’ho notata anni fa con questo blog. E adesso riesco a precisarla bene, vederla amplificata all’ennesima potenza.
Quando avevo un appuntamento fisso quì, tutti i giorni, un pò di tempo per me a scrivere, quello che accadeva durante il giorno aveva un filo conduttore, o meglio una “sublimazione”. Ciascun avvenimento, seppur piccolo, era preso in considerazione ed elaborato perchè assumesse una forma, un significato da raccontare, da descrivere. Tutto era uno spunto, una possibile riflessione. Ed avevo già notato che percepivo la realtà in maniera diversa, era finalizzata, acquisiva un senso che poi quì si concretizzava. Ma era per me o per il bisogno di esserci, di mostrare, per leggere i commenti, per sentirmi parte di qualcosa? Era esclusivamente per me, era autoreferenziale, e per questo, terapeutico. Scrivere quì è cercare la pace con me stessa in me stessa, mi rilassa, mi fa arrivare al punto. Ed ha un valore in sè, che non è influenzato dalla vetrina, che prescinde totalmente dai lettori che chi lo sa se ci sono, chi sono, che storie hanno, che cercano, che percepiscono di queste mie parole. Di certo questa possibilità eventuale di condividere è un valore aggiunto, rispetto allo scrivere sul primo foglio di carta, sul fondo dei libri, sulla moleskine. Ma lo è in quanto i destinatari non sono certi, e soprattutto non sono un gruppo di più o meno amici, più o meno conoscenti, tutti chiusi nella propria bolla, assuefatti dalle regole del gioco.
Insomma torno quì. Ed è un pò come tornare a casetta.
Nel frattempo, ad un tempo breve dalla cancellazione, la pigrizia ha subito un duro colpo ed i rapporti umani una bella boccata di ossigeno. Puro.